leggenda del prato della contessa

Durante l’ultima gita sul monte Amiata ,in occasione della cerimonia di premiazione del concorso UN MONTE DI POESIA  abbiamo fato una visita a questo stupendo pianoro vicino alla vetta , e il nostro amico Massimo Pinzuti ci ha raccontato questa leggenda dolce e romantica . Mentre raccontava vi assicuro che sembrava di sentire le voci sussurrare tra i rami dei faggi ma  Io forse sono troppo sensibile e romantica

IL PRATO DELLA CONTESSA

Viaggio tra storia e leggenda nei misteriosi boschi dell’Amiata.

di Massimo Pinzuti.

Il Prato della Contessa, un grande pianoro a 1400 metri di altitudine sulle falde del monte Amiata, circondato

da maestose faggete e da profumate abetaie, deve il suo nome ad una stupenda leggenda d’ amore cui furono

protagonisti Gherarda degli Aldobrandeschi contessa di Cana e il giovane Adalberto, feudatario di Chiusi,

amante dei boschi dell’Amiata dove spesso vi si recava per competizioni cavalleresche o semplicemente per

sfuggire alla calura estiva.

Un giorno, durante un banchetto organizzato da alcuni nobili del luogo per rallegrare la vacanza estiva a

coloro che dai castelli della Maremma e della Val d’Orcia fino a Chiusi si recavano sul fresco monte, i due

giovani si conobbero: incontrarsi, conoscersi ed innamorarsi, avvenne in un solo istante. Il loro grande amore

però non piacque alle rispettive famiglie perché erano già stati destinati, fin dalla nascita, ad un matrimonio

di interesse.

Fu per questo motivo che dovettero incontrarsi segretamente e scelsero, per i loro incontri, quello stupendo

prato dove un immenso,grande faggio li abbracciava con i suoi rami e li teneva sospesi, nel tempo e nello

spazio, dove nessuno poteva vederli. Le cose belle, purtroppo, non sempre hanno un lieto fine: Gherarda fu

costretta a sposarsi, contro il suo volere, con il conte Orsini della contea di Sovana e Pitigliano; un

matrimonio voluto dalla famiglia, con lo scopo di unire le due contee, a dispetto di un destino ribelle che

aveva dato loro soltanto una femmina.

Adalberto, per sfuggire alla contrarietà della famiglia, e forse anche per tentare di dimenticare un amore che

si presentava impossibile, partì per le crociate in Terra Santa ed in quella terra, lontano dall’innamorata e dal

faggio che ogni notte sognava, morì in battaglia.

Gherarda, conosciuta la fine di Adalberto, si recò ancora una volta sul prato,luogo dei loro felici e tormentati

incontri e, per restare fedele al suo eterno amore, si rifugiò in un convento fino alla fine dei suoi giorni. A

memoria dei loro sfortunati incontri, da allora quel prato, posto in maniera così singolare in mezzo ad una

corona di faggi e di abeti, fu chiamato "Prato della Contessa”

La leggenda ancora narra che nelle tiepide serate estive, il prato diventa un richiamo irresistibile per le

giovani coppie che si trovano a passare da lì e, se durante le sere di plenilunio, qualcuno scorge delle ombre

guizzare sul prato per poi soffermarsi alla base del “faggio della contessa”, una bella e secolare pianta alta 25

metri, discendente dei silenti testimoni della passione proibita dei due giovani, potrà riconoscere nel loro

portamento e nella loro impulsiva passionalità Gherarda ed Adalberto, che hanno finalmente ritrovato il loro

amore, talmente forte che nemmeno il tempo è riuscito ad estinguere.

Tutto questo è leggenda ma, come in tutte le leggende, esiste sempre un fondo di verità. I personaggi di

questa tormentata storia d’amore sono realmente esistiti. Infatti, la contessina Gherarda è probabilmernte

Anastasia degli Aldobrandeschi, contessa di Cana, andata in sposa al conte Orsini della contea di Sovana e

Pitigliano a causa delle mire conservative ed espansionistiche della famiglia; del ragazzo, invece, abbiamo

due opposte versioni che lo vedono come discendente dei conti che in quel periodo governavano Chiusi,

oppure del figlio di uno stalliere di Sarteano, appassionato ed esperto di cavalli e per questo sempre a seguito

di alcuni nobili per i loro cavallereschi duelli.

E’ evidente che dovevano vedersi di nascosto: una promessa sposa al conte Orsini, non poteva certo farsi

vedere con un conte di diversa casata né tantomeno con uno stalliere. Ma i due giovani erano profondamente

e perdutamente innamorati l’uno dell’altra e perciò continuarono a vedersi nel loro magico prato fino al

giorno in cui un destino crudele riuscì a separarli per sempre: Anastasia andò veramente in sposa al conte

Orsini e Adalberto dovette rassegnarsi alla perdita del suo grande amore. Dopo il matrimonio, esistono due

versioni dei fatti: la prima sostiene che Adalberto si rifugiò successivamente nel monastero con lo scopo di

riuscire a dimenticare la sua sofferenza, mentre la seconda, più intrigante, narra che Gherarda, con il pretesto

di scendere al Monastero per imparare le Arti femminili e studiare come si conviene ad una nobile, continuò

a vedersi comunque con Adalberto all’ombra del loro amato faggio, lontani da occhi indiscreti.

Una cosa è certa: visto che ancora oggi se ne parla, questo grande amore è comunque riuscito a sopravvivere

nel tempo, così come lo è stato anche il testimone dei loro incontri: quel magico prato che tutto sa, e che

talvolta riesce anche a rivelarcelo, magari in una calda serata di un plenilunio estivo.

Massimo Pinzuti

avete letto? non è bellissimo? chiudete gli occhi vedete la contessina e il suo amato salire piano tra i boschi? se non li vedete andate a cercare tra le foto nell’album le bellezze dell’amiata c’è la foto del faggio  maestoso e guardate il tronco non vi sembra che ci siano due figure unite in un abbraccio? …. ma io sono troppo romantica ….

lady radio

Per chi fosse curioso ,oltre che di leggere le mie poesie e i miei post, può ascoltare la mia voce in qualità di lettrice nel programma di Lady radio DUE MINUTI DEI VERSI è in onda tutti i giorni con varie voci che si alternano nelle letture alle ore 06,05–21,05–23,05, basta clikkare sul link  che trovate in questa pagina  alla vostra sinistra e si apre il sito della radio,clikkando sull’icona dell’altoparlante potete ascoltare  il programma , io reciterò i giorni 6–13–17–28 (questo giorno leggerò  la mia poesia )
se la cosa vi piace segnalatelo alla mail della radio , diffondiamo la poesia

sulla poesia

l’articolo che segue è stato copiato-incollato  da l’archivio di REPUBBLICA 2003  dalle tracce per per la maturità  esame di stato 2003,il titolo della tesina  era "E’ ANCORA POSSIBILE LA POESIA NELLA SOCIETA’ DELLA COMUNICAZIONE DI MASSA ,prendendo spunto dal discorso di E:Montale all’Accademia di Svezia in occasine del premio Nobel per la Letteratura 1975, tra i vari documenti riportati uno in particolare ha colpito la mia sensibilità  trovandomi in pieno accordo con lo scrittore , ve lo ripropongo così come l’ho trovato. Al di là di qualsiasi opinione è comunque un ottimo testo ,di piacevole lettura ,spero serva a stimolare la discussione  tra i vari amanti della poesia ,in qualsiasi forma venga proposta
 
"Sei una parola in un indice". Lessi questo verso tanti anni fa, non so più su quale rivista letteraria… Ma per me quel "sei una parola in un indice", quel "ma di te sappiamo solo oscuro amico/che udisti l’usignolo una sera", vanno a toccare più di ogni altra composizione le misteriose corde d’ordine sentimentale (chiamiamole pure così), latenti in ciascuno di noi dai tempi della scuola. Sono veri e propri innamoramenti, cui si perviene casualmente, per vie proprie, o perché un insegnante più appassionato degli altri e con una voce più duttile, ce li ha messi in evidenza. Lo studio a memoria della poesia è ancora obbligatorio, mi dicono, e ancora mal sopportato dai ragazzini. Sarà, ma "Dolce e chiara è la notte e senza vento" o "quel giorno più non vi leggemmo avante", devono pur risuonare in un’aula scolastica. Sono spiragli aperti per un attimo su un mondo parallelo che esclude merendine e play-station. Un mondo di suggestioni enigmatiche e dolcissime, che per molti scomparirà forse per sempre ma per altri resterà per sempre lì a portata di mano, evocabile in ufficio, guidando sull’autostrada, spingendo il carrello per un supermercato… Sono lingotti in un caveau svizzero, magari parziali e approssimativi nella memoria, ma emotivamente indistruttibili. Ognuno se li deve mantenere da sé, con la sua segreta chiave, perché l’alternativa (il cenacolo con dama protettrice, il convegnino promosso dal Comune, l’evento mediatico una volta l’anno) non funziona, inquina senza scampo quelle privatissime risonanze… "

C. FRUTTERO, L’indice di Borges, TUTTOLIBRI, 11 gennaio 2003